Trovalo!

— Read in English–

— Leggi il paragrafo precedente —

Un’anima

Il suo nome

il

suo

nome

Qual era

Difficile mettere ordine tra i ricordi, ma mi pare più

G., oppure J. Forse P.? Chi può saperlo.

Qual era il nome del medico?

Eppure è l’unico in grado di spiegare come in cerca di un’anima bianca si trovi invece un’anima nera. Pensieri affannosi si rincorrono ai ricordi, memorie sepolte tra numeri e strette di mano. E’ incredibile come persone che incontriamo tutti i giorni siano in grado di lasciare poco o nulla nella nostra tavola dei colori. Possiamo dipingere a memoria pubblicità e donne conosciute solo per pochi intensi minuti, e tuttavia quel dottore cui abbiamo stretto la mano tutte le mattine per anni non è più là.

Era sempre là

Un medico in particolare era costantemente là. Una di quelle persone che danno l’impressione di essere nate già vecchie. Un nonno senza rughe, dai capelli ben pettinati e dalle sopracciglia folte come i baffi di un gatto Maine coon. Simpatico, dalla battuta pronta, eppure attualmente un’entità invisibile per il povero S. Un tondo bianchiccio dai contorni indefiniti, quasi sempre di schiena. Senza identità, senza nome, senza indirizzo. Quello sarebbe il dottore perfetto cui chiedere informazioni, il capo dell’ospedale quando scambiammo l’anima. La persona giusta cui rivolgere la domanda che da un giorno intero ossessiona questa bocca presa d’assalto dalle emozioni e che storce i baffi.

Dov’è finita l’anima di mio padre?

La scoperta

La stanza vuota, le mani aperte pronte per l’estrazione e poi d’improvviso un piccolo vento freddo che attraversa la sala. Un mulinello, da mettere i brividi. Poi una lampadina che esplode e il tavolo che si muove di qualche centimetro. No, questa non è un’anima bianca, questa è un’anima nera. Non c’è bisogno di una gamma di colori per comprenderlo, l’unica azione da fare è rinchiuderla in un dispositivo. Qualche minuto dopo era tutto finito. S., seduto per terra, piangeva come mai avrebbe potuto sognare nel peggiore degli incubi. Piangeva come se tutt’a un tratto avessero sostituito le valvole difettose sotto gli occhi. Anni di lacrime condizionate ora cadevano da quelle nuvole opache che sono gli occhi di un uomo triste.

Dov’è finita l’anima di mio padre?

C’è solo un modo per scoprirlo, andare ad indagare nell’unico posto in cui la memoria non sfugge mai. Un ufficio in cui ogni persona è schedata, ogni anima impilata in un archivio.

L’ufficio Suicidi

L'ufficio suicidi
I colori sgargianti dell’ufficio suicidi

Nella penombra tra le scale Bu consuma alla luce fioca del sole elettronico un panino imbottito di formaggio e lattuga. Tutto il colore e il sapore vengono però da un ingrediente segreto: un piccolo pomodorino secco sott’olio è infilato all’interno del panino, dando ad esso uno strano color sangue. Non alza gli occhi, quando queste scarpe trafelate lo superano per dirigersi ai piani alti. Ad attenderlo il capo dell’Ufficio Suicidi.

Un labirinto

I corridoi sono tutti uguali, si differenziano solo per qualche freccia che dà un nome agli ambienti. C’è una che indica

Primo Piano- Ufficio morti smarriti, Sottosezione controllo arti, Piante e Controllo forestale

Senza una logica ben precisa, gli uffici sono seminati alla rinfusa. Un agricoltore matto che vuole far nascere una patata da una banana. A quanto pare questo è il vero fulcro della burocrazia, il senso finale. Lasciare che qualcosa che sarebbe più semplice lasciare al caso, veda questo caos stesso entrare dentro delle righe, dentro una firma e un bollo tondo. Eccoci all’ultimo gradino, dove una scritta grida

Secondo Piano- Sezione interventi estrazione minori- Ufficio omicidi

No, non ci siamo ancora

Qui si tratta di scoprire qualcosa in più. Gli omicidi non vengono mai scoperti davvero. Si tratta di moventi, prove e congetture. Non ci sono poi tanti omicidi, da queste parti. Perché mai uno dovrebbe uccidere qualcun altro? Nessuno davvero ha cura della vita, propria o altrui. Ha paura di soffrire, quello si. Ma se si potesse morire, poco a poco e senza davvero accorgersene, sarebbe tutto più semplice.

Terzo Piano- Ufficio suicidi, Rateizzazione Case e pendenti, Condoni edilizi

Eccoci finalmente, l’Ufficio Suicidi

L'ufficio suicidi
I colori sgargianti dell’ufficio suicidi

L’ufficio è il contrario di ciò che si potrebbe immaginare di trovare in un ufficio suicidi, che so tutto grigio o nero. Le pareti sono di un simpatico color blu elettrico, le sedie sono gialle e ci sono tappeti con colori insensati in quasi ogni angolo. Come, un ufficio suicidi così colorato? Si, si segue lo stesso modello che tanto bene ha funzionato nella lotta al tabagismo. Vendere le sigarette serve a pagare le tasse, non c’è nulla da fare. Un po’ come le lotterie. Allora se da una parte si enfatizza l’uso delle sigarette, le si spettacolarizza, così come si immagina come cambierebbe la vita di un uomo qualunque se dovesse vincere alla lotteria, poi si scrive sul pacchetto

Se fumi, muori tu e tutta la tua famiglia. Male

Il business dei suicidi

Secondo questa logica, dunque, è opportuno ricordare a tutti come in teoria sia sbagliato il suicidio. Mettere dei colori sulle poltrone e sulle porte, per dissuadere i più critici della possibilità che lo Stato possa davvero guadagnarci. La realtà è che il Governo ci guadagna davvero. Per ogni suicidio non autorizzato, c’è dalla confisca dei beni alla prigione per il prossimo nella successione genealogica. Vien da sé che tutti seguano la procedura. Una lettera inviata al Vice Capo Ufficio Suicidi , che viene letta e approvata poi da un subalterno. A seconda della provata presenza di un’anima di un certo rilievo, per paura che questa si disperda nell’ambiente e si tramuti, che so, in un rospo, il candidato viene chiamato con la massima urgenza.

Il Vicecapo

Salve, sono…

S., immagino

Esattamente

Perfetto, si accomodi

Dunque, sono qui per richiedere un’informazione circa un medico legale che operava nell’Ospedale Giallo. Quindici anni fa almeno

Non c’è problema. Abbiamo come saprà il catalogo più fornito tra tutti i reparti

La ringrazio per la collaborazione

Prenda pure questo foglio e lo porti a Bu, è il nostro miglior operatore. Le posso già fissare un appuntamento tra tre settimane

Tre settimane? Non si potrebbe fare prima? Avrei una discreta urgenza di avere questo nome

Mi dispiace, è tutto quello che posso fare per lei. Allora, tra tre settimane?

Perfetto, mi segni pure. Grazie per l’aiuto, a presto

I passi scendono veloci tra le scale, tanto che mi sembra sempre di inciampare. Qualcosa poi non va. Uno dei miei lacci è là che ondeggia non allacciato. Il thermos del caffè è vuoto da ormai due giorni. I piedi hanno perso la naturale sicurezza. Sembrano quasi cadere sul cemento ad ogni passo.

Una piccola crepa è nata tra i mattoncini che compongono questo complesso umano. Una ferita aperta, come aperta è la domanda che continua a ripetersi come una canzone sudamericana alla radio

Dov’è l’anima di mio padre

— Leggi il prossimo paragrafo, Quel ragazzo —

Leggi il primo capitolo!

La storia avrà pubblicazione a cadenza settimanale. Tutti i diritti sulla storia sono riservati da Flyingstories.org e nella persona di Daniele Frau.

Tutte le grafiche sono eseguite a mano e in stili misti dall’artista Gabriele Manca, DMQ productions, che detiene i diritti sulle opere.

2 Comments

Lascia un commento

Your email address will not be published. Required fields are marked *